La Legge Finanziaria 2005 aveva consentito ai Comuni di revisionare le rendite degli immobili di interi quartieri comunali o microzone, qualora evidenziassero anomalie rispetto al contesto comunale, particolarmente nelle grandi città.
Da allora erano sorti notevoli contenziosi per le scarne motivazioni degli atti emessi dai Comuni che utilizzavano locuzioni generiche alla base dell’aumento delle rendite catastali, come ad esempio interventi pubblici sulla viabilità o interventi di ristrutturazione edilizia svolti dai privati, del tutto insufficienti a porre il contribuente a conoscenza delle concrete ragioni della pretesa.
Ebbene, con la Sentenza n. 32488/2018, la Corte di Cassazione ribadisce quanto già stabilito dalla Sentenza della Corte Costituzionale n.249/2017, ovvero, che per giustificare tali riclassamenti dei fabbricati appartenenti ai gruppi catastali A, B e C effettuati su intere microzone, non basta il mero scostamento matematico tra il valore catastale ed il valore di mercato, ma è necessario, che tali revisioni siano adeguatamente motivate da altri elementi, come la qualità urbana (intesa come il contesto nel quale l’immobile è inserito), la qualità ambientale della zona in cui è situato l’immobile e le caratteristiche proprie dell’immobile.
Ciò al fine di evitare la discrezionalità dell’amministrazione e consentire al contribuente di esercitare il proprio diritto di difesa, delimitando l’oggetto del contenzioso eventualmente posto in essere, in quanto l’Ufficio non potrà in giudizio motivare il riclassamento diversamente da quanto enunciato nell’atto di accertamento catastale.
La Sentenza n.348/2019 è stata emessa dalla Quinta Sezione Civile della Corte di Cassazione riguardo al caso di un immobile commerciale locato ad una Srl, per il quale non erano stati riscossi i canoni di locazione per morosità del locatario.
Tale situazione aveva portato uno dei due comproprietari a dichiarare il reddito catastale dell’immobile e non il reddito della locazione mai percepito e solo in seguito all’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate, lo stesso aveva comunicato la risoluzione del contratto di locazione con effetti retroattivi a far data dall’annualità accertata.
La Corte di Cassazione non ha dato, però, ragione al comportamento del contribuente, stabilendo che i canoni di locazione degli immobili diversi da quelli abitativi (per i quali, invece, opera la deroga prevista dall’art.8 della L.n.431/1998), costituiscono, comunque, reddito tassabile fin quando non intervenga la risoluzione del contratto o un provvedimento di convalida dello sfratto, non riconoscendo l’efficacia retroattiva attribuita dalle parti all’accordo risolutivo, essendo lo stesso irrilevante nei confronti dei terzi ed indipendentemente dal fatto che l’Ufficio abbia annullato altri accertamenti nei confronti di contribuenti diversi o per altre annualità.
Pertanto, fin quando risulta in vita un contratto di locazione a fini diversi da quelli abitativi, vanno dichiarati i relativi redditi, anche se riferiti a canoni mai percepiti per morosità del locatario, non venendo meno l’obbligo del pagamento degli stessi fin quando egli ha goduto della disponibilità dell’immobile nel periodo precedente la risoluzione.
Infine, sempre la Cassazione ha escluso che si configurasse la forza maggiore, per evitare la decadenza dall’agevolazione prima casa, se l’acquirente era stato impossibilitato a rispettare una delle condizioni necessarie per goderne, stabilite dalla lett.a), Nota II-bis, art.1 della Tariffa, Parte I, allegata al DPR.n.131/86 (ovvero il trasferimento della residenza nell’abitazione entro 18 mesi dal rogito notarile) a causa del mancato rilascio da parte dell’inquilino, già nella disponibilità dell’immobile al momento dell’acquisto e nonostante il venditore avesse garantito la fine del contratto di locazione “transitorio” in tempo utile.
In seguito al giudizio intentato dall’acquirente nei confronti dell’inquilino, quest’ultimo chiedeva di riqualificare la locazione da transitoria ad ordinaria in forza della durata già superiore ai 18 mesi stabilita per le locazioni transitorie ed il Tribunale accoglieva la richiesta riconvertendo la locazione in ordinaria di durata 4+4 anni, impedendo di fatto all’acquirente di trasferirvi la residenza e consentendo di conseguenza all’Agenzia delle Entrate di revocare l’agevolazione prima casa, richiedendogli le maggiori imposte dovute.
La Sentenza n. 395/2019 della Quinta Sezione Civile della Cassazione ha negato l’esistenza della forza maggiore, in quanto la stessa deve essere sopravvenuta e caratterizzata da inevitabilità ed imprevedibilità e va esclusa sempre quando dipenda da un comportamento addebitabile al contribuente anche a titolo di colpa lieve. Nel caso oggetto della Sentenza, l’acquirente, fin dal rogito avrebbe potuto e dovuto accorgersi, con la normale diligenza, che l’originario contratto di locazione dell’immobile acquistato e richiamato nell’atto, avesse già superato la durata massima prevista per i contratti di locazione transitori e fosse, pertanto, riconducibile a quelli ordinari.
Contattaci subito per maggiori info!
Modulo di contatto
Dove siamo
Via Nicolò Tartaglia, 11, 00197 Roma