La risposta all’interpello n.42 del 21 gennaio 2022 da parte dell’Agenzia delle Entrate ha riguardato il trattamento fiscale dei proventi incassati dal cedente una partecipazione, persona fisica, a cui inizialmente erano stati distribuiti utili inferiori a quelli delle riserve disponibili, in quanto una parte degli utili portati a nuovo era dovuta a crediti commerciali non ancora incassati per i quali era in essere un contenzioso.
In primis, bisogna ricordare che i redditi di natura finanziaria collegati al possesso di una partecipazione societaria possono essere ricondotti a due distinte tipologie: ai dividendi che sono considerati, ai sensi dell’art.44 del TUIR, come redditi di capitale per le persone fisiche non imprenditori e che rappresentano il rendimento del capitale investito nella società; o alle plusvalenze che sono considerate, ai sensi degli artt. 67-68 del TUIR, come redditi diversi e che rappresentano il guadagno che la medesima persona fisica non imprenditore ritrae dalla cessione a titolo oneroso della partecipazione.
L’interpello era finalizzato a chiarire se la somma incassata successivamente alla definizione di tali contenziosi e quindi alla cessione della partecipazione ed alla conseguente perdita della qualifica di socio da parte del cedente, potesse rientrare tra i dividendi ed essere quindi tassata come reddito di capitale.
Per l’Agenzia delle Entrate, nonostante tali somme fossero comunque ascrivibili agli utili realizzati dalla società prima della cessione e solo prudenzialmente non distribuite, dal momento dell’avvenuta cessione della partecipazione sociale, il cedente non ha più diritto a partecipare agli utili della società non potendo più essere qualificato come socio della stessa e le somme successivamente incassate andranno considerate come integrazione/aggiustamenti del corrispettivo della vendita della partecipazione, vale a dire rettifiche di prezzo derivanti da fattori economico-patrimoniali riguardanti la società ceduta.
In base a tale assunto, la somma incassata dal cedente a seguito della definizione dei contenziosi, andrà a configurare un reddito diverso si natura finanziaria ai sensi del’art. 67 del TUIR e sconterà l’imposta sostitutiva del 26{c6f1e3cbbf388f39af87624e7ab33d42cc5a4ced45b8f171171c043a5d28b876} che dal 2019 si applica anche alle partecipazioni qualificate.
Infine, essendo obbligata la società al pagamento dell’integrazione del corrispettivo e non l’acquirente della partecipazione, dalla risposta in esame, si evince che tali somme siano un costo deducibile per la società, se “inerenti” in base all’art.109, c.5, del TUIR, ovvero se riferibili a beni o attività che producono ricavi che concorrono al reddito della società o che non vi concorrono in quanto esclusi.
Con la successiva risposta all’interpello n.44 sempre del 21 gennaio 2022, l’Agenzia delle Entrate chiarisce quanto esposto nella precedente risposta all’interpello n.818 del 2021, stabilendo che la conversione tra due tipologie di azioni di diversa categoria non può considerarsi come un atto realizzativo ai fini fiscali.
Da ciò discende che non si interrompe il periodo di possesso (“holding period”) ai fini dell’applicazione della “partecipation exemption” ai sensi dell’art.87 del TUIR, ma andranno sommati il periodo di possesso ante conversione e quello post conversione, considerandolo come un unico periodo senza soluzione di continuità, dal momento dell’acquisto delle azioni originarie che integravano il diritto alla conversione.
In pratica, con l’avvenuta conversione tra le due categorie di azioni si determina una variazione esclusivamente qualitativa della composizione del capitale sociale, non verificandosi alcuna cessione a titolo oneroso o assimilata, ma una semplice sostituzione di titoli partecipativi e dei diritti amministrativi e patrimoniali che da essi vengono attribuiti ai soci, in perfetta continuità del rapporto partecipativo.
La soluzione sarebbe, invece, diversa qualora vi fosse un vero e proprio cambiamento della natura del titolo partecipativo, ad esempio nel caso di conversione di obbligazioni in azioni, trattandosi di novazione oggettiva dello stesso, da cui deriverebbe la discontinuità tra i due periodi di possesso ante e post conversione.
Tale conclusione ribadisce quanto presente in precedenti arresti di prassi dell’Amministrazione Finanziaria, in cui si affermava che le partecipazioni ottenute a seguito dell’esercizio del diritto di opzione, integrato in azioni già possedute, si considerano acquisite alla data di acquisto di quelle sottostanti, senza interruzione dell’holding period.
Secondo la risposta in esame, contrariamente alla precedente del 2021 ormai superata, la conversione tra le due tipologie di azioni non assume rilevanza fiscale anche quando con il nuovo titolo si attribuisce un “teorico rendimento in natura” derivante dall’espansione dei diritti patrimoniali rispetto ai precedenti, realizzabile in seguito alla cessione delle azioni ordinarie così ottenute dopo l’esercizio del diritto di opzione.
Peraltro, anche l’art.172, c.3, del TUIR prevede che per il dante causa, in caso di fusioni o scissioni, non si verifichi alcuna ipotesi realizzativa in caso di concambio delle azioni, ma solo una sostituzione di quelle originariamente detenute, con quelle di una nuova società; è evidente, pertanto, che tale irrilevanza fiscale si debba riconoscere anche e soprattutto in caso di conversione di azioni della medesima società.
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