La Sentenza della Corte di Cassazione n.25071 depositata in data 16 settembre 2021, ha confermato che l’Agenzia delle Entrate non può riqualificare un atto di conferimento d’azienda con successiva cessione delle partecipazioni, in cessione d’azienda basandosi sull’art.20 del DPR n.131/1986.
A seguito della modifica apportata dalla L. n.205/2017, infatti, non è più possibile procedere a tale riqualificazione in funzione del collegamento negoziale tra molteplici atti, ma solo in relazione al contenuto dell’atto oggetto di registrazione.
Già in precedenza la Corte Costituzionale, nelle Sentenze n. 158/2020 e n.39/2021 aveva riaffermato la natura di imposta d’atto dell’imposta di registro e che la nuova formulazione dell’art. 20 del DPR n. 131/1986 aveva natura di norma di interpretazione autentica e retroattiva e che, pertanto, il singolo atto da registrare poteva essere interpretato solo in base al contenuto dello stesso, indipendentemente da eventuali atti collegati o elementi extratestuali.
Stabilendo, inoltre, che nel rapporto tra l’art. 20 del DPR n.131/1986 e l’art. 10-bis della L. n. 212/2000, solo quest’ultimo aveva valenza di norma antielusiva utilizzabile per valorizzare la causa reale dei singoli atti, ovvero, gli effetti economici complessivi.
Nel caso oggetto della presente Sentenza, l’Agenzia delle Entrate riteneva di poter comunque riqualificare, in via eccezionale, gli atti sottoposti a registrazione in base al collegamento negoziale, per quelle fattispecie poste in essere prima dell’entrata in vigore dell’art.10-bis della L. n.212/2000, qualora fossero stati evidenti i comportamenti antielusivi.
Ciò perché, altrimenti, non sarebbe stato possibile in tali casi applicare in funzione antielusiva la norma entrata in vigore successivamente e neanche l’art.20 del DPR n.131/1986, come modificato dalla L. n.205/2017.
La Cassazione ha, però, rigettato quanto asserito dall’Amministrazione Finanziaria, perché non ritiene possibile risolvere tale situazione sul piano interpretativo.
Infine, ha asserito che, anche se in precedenza la stessa Corte (prima della modifica introdotta dalla L. n.205/2017) aveva riqualificato in alcuni casi le operazioni di conferimento d’azienda seguite dalla cessione delle partecipazioni, in cessioni d’azienda, lo aveva pur sempre fatto non considerando l’art. 20 del DPR n. 131/1986 come norma antielusiva.
La successiva Sentenza della Cassazione n.30974, depositata in data 2 novembre 2021 ha stabilito che affinché si configuri una cessione d’azienda, non necessariamente vi deve essere la contemporanea cessione di tutti gli elementi che la compongono, in base alla nozione prevista dall’art. 2555 del Codice Civile, ma è sufficiente che tra quelli ceduti si possa ravvisare l’organizzazione che consenta comunque l’esercizio dell’impresa, anche se con il successivo intervento del cessionario; affermando che, nel caso portato alla sua attenzione, la cessione di un immobile strumentale idoneo a costituire una unità economica produttiva indipendente e finalizzata ad iniziare o continuare l’attività d’impresa da parte dell’acquirente, fosse da considerare cessione d’azienda e non cessione del singolo bene, assoggettabile, pertanto, ad imposta di registro e non ad IVA, stante il principio dell’alternatività delle due imposte e del divieto di doppia imposizione stabilito dall’art.40 del DPR n. 131/1986.
Tale principio è da considerarsi imperativo ed inderogabile dalle parti e l’esclusione dell’imposta di registro è valida non solo per gli atti imponibili IVA, ma anche per quelli che rientrano nel campo di applicazione della stessa pur essendo esenti o non imponibili.
La fattispecie in esame riguardava la cessione di un immobile adibito a bar/ristorante, avvenuta dopo una precedente vendita di attrezzature, sulla quale il cedente aveva applicato l’IVA, poi detratta da parte del cessionario. L’Agenzia delle Entrate aveva, però, ripreso a tassazione l’IVA detratta, ritenendola una cessione d’azienda frazionata, soggetta, quindi, ad imposta di registro e non ad IVA.
La Cassazione, ha confermato l’interpretazione dell’Amministrazione Finanziaria, in quanto l’immobile adibito a bar/ristorante ceduto manteneva un’organizzazione che consentiva l’esercizio dell’impresa, ribadendo che, sulla base di quanto disposto dall’art. 20 del DPR n.131/1986, la riqualificazione della cessione in essere, deve essere fatta considerando il solo atto soggetto a registrazione, come riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale nelle sentenze sopra richiamate e non sulla base del collegamento negoziale tra più atti posti in essere tra le stesse parti, a differenza di quanto possibile per tutte le imposte e non solo per l’imposta di registro, in caso di applicazione della normativa antielusiva prevista dall’art.10-bis della L. n.212/2000.
Infine, è da evidenziare che tale conclusione, in merito alla non frazionabilità della cessione d’azienda unitariamente considerata soggetta ad imposta di registro, in più cessioni di singoli beni soggette ad IVA, è conforme anche alla giurisprudenza anche della Corte di Giustizia dell’UE.
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