Due recentissime Sentenze della Corte di Cassazione hanno avuto ad oggetto la rinuncia al compenso da amministratore e l’indeducibilità dello stesso nel caso non sia stato deliberato.
La Sentenza n. 3657 depositata in data 13 febbraio 2020, cassando quanto deciso dalla Corte d’Appello, ha stabilito che la rinuncia al compenso da parte dell’amministratore deve risultare da un comportamento concludente dello stesso che sia inequivocabile ed esprima la sua volontà dismissiva in relazione al proprio diritto vantato nei confronti della società.
In base a tale assunto, non può, pertanto, essere sufficiente la mancata richiesta del pagamento da parte dell’amministratore per qualsiasi motivazione, nonché il convincimento che anche gli eventuali altri componenti del consiglio di Amministrazione abbiano fatto altrettanto, ma devono esistere delle circostanze ulteriori ed esteriori che qualifichino in modo netto il comportamento tenuto, facendogli assumere un preciso significato.
Per costante giurisprudenza della stessa Corte, la carica di Amministratore di una società di capitali, può anche prevedere la gratuità della prestazione, se ciò è espressamente previsto nello Statuto sociale o venga stabilito nell’atto di nomina, ma vi è anche la possibilità da parte dell’Organo sociale di rinunciare all’emolumento ad esso spettante, essendo lo stesso un diritto disponibile.
Tale possibilità di rinunciare al compenso è inquadrabile nella fattispecie della remissione del debito ex artt. 1236 e seguenti del Cod.Civ., e non necessariamente deve avvenire in forma espressa, purché i comportamenti tenuti dall’Amministratore o il suo silenzio siano tali da certificare in modo univoco la propria volontà di rinuncia.
In merito al silenzio, perché ad esso venga attribuito valore negoziale nei rapporti tra le parti, è necessario che l’affidamento o il comune modo di agire, imponga loro il dovere di parlare, o, altrimenti, che in un determinato momento storico o sociale, si possa intendere tale silenzio come adesione alla volontà altrui.
La Sentenza in esame ribadisce che, al di fuori dei casi in cui il creditore deve attivarsi per esercitare il proprio credito, il silenzio o la rinuncia tacita per inerzia ad un proprio diritto, deve, pertanto, risultare come definitiva e da comportamenti concludenti che siano incompatibili con il volerlo mantenere in essere e non può essere oggetto di presunzioni.
Un comportamento solo omissivo, di silenzio puro e semplice, è di per se stesso da considerarsi insignificante ed ambiguo, in quanto la mancata richiesta di pagamento dell’emolumento potrebbe dipendere da una semplice disattenzione o anche dall’indulgenza del creditore per i più disparati motivi.
Con la Sentenza n.4400 depositata in data 20 febbraio 2020, la Cassazione ribadisce un principio ormai noto, ovvero che i compensi agli amministratori di una società, sono deducibili solo se deliberati dall’assemblea dei soci e ed effettivamente corrisposti (in base al principio di cassa); conferma inoltre, che la mancata deduzione del relativo costo da parte della società, dovuta anche a semplici irregolarità di natura formale nella delibera stessa e la contestuale tassazione dell’emolumento in capo all’amministratore, non configura una doppia imposizione giuridica, ma solo economica, essendo diverso il presupposto alla base della tassazione.
Nel caso deciso dalla Sentenza in esame, una spa era amministrata da un Consiglio di amministrazione composto da quattro amministratori, tutti delegati ed anche soci.
Tali deleghe, specialmente nelle realtà aziendali di minori dimensioni, devono essere attribuite in base all’effettiva attività svolta da ognuno e perciò essere distinte, non potendo delegarsi ad ogni componente tutti i relativi poteri amministrativi, altrimenti verrebbe meno il ruolo dello stesso CdA.
In conseguenza di ciò, l’art. 2389 Cod.Civ. stabilisce che la remunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità allo Statuto, viene stabilita dal Consiglio di Amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale.
Nella situazione specifica oggetto di causa, tale articolo non poteva ritenersi applicabile in quanto tutti i componenti del CdA erano stati delegati ma solo per due di essi erano stati previsti compensi aggiuntivi (peraltro per un’annualità successiva a quella accertata).
E la mancata delibera, anche volendo ammettere la possibilità di deleghe attribuite a tutti i componenti del consiglio, con remunerazioni aggiuntive solo per alcuni, rendeva di fatto indeducibili tali compensi.
Contattaci subito per maggiori info!
Modulo di contatto
Dove siamo
Via Nicolò Tartaglia, 11, 00197 Roma