Contenzioso in materia di accertamento tributario

News | pubblicato il 19-05-2023
a cura di Studio Gargani

Con la Sentenza della Cassazione n. 2807 del 31 gennaio 2023, la Corte ha stabilito l’importante principio di diritto tale per cui, in caso di una sentenza di annullamento di un accertamento emesso nei confronti di una società a ristretta base proprietaria, non fondata su vizi propri del procedimento o personali (come ad esempio inesistenza della notifica o cessazione della società), la stessa esplica effetti anche nei confronti del singolo socio.

Tale principio assume ancora più importanza in quanto, nel caso in esame, la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili e la pluralità di accertamenti che da questa derivano, sia in capo alla società che ai soci, sebbene collegati tra di loro, potrebbero portare alla fine ad assumere decisioni contrastanti; questo anche considerando che la giurisprudenza prevalente non ritiene in tali casi obbligatorio il litisconsorzio necessario tra società e soci, pur potendosi comunque richiedere la riunione dei ricorsi.

Ed in effetti, il giudice di secondo grado aveva erroneamente respinto le doglianze del socio che si era visto notificare un avviso di accertamento per maggiori utili extracontabili ad esso imputati, dovuti alla partecipazione in una società a ristretta base proprietaria, non tenendo in debita considerazione l’annullamento del precedente accertamento a carico della stessa.

Precisa, però, la Corte che, tale annullamento con sentenza passata in giudicato, affinché abbia effetto anche nei confronti del socio, deve discendere da un giudicato sostanziale e non formale, basato, quindi, su vizi relativi al merito della pretesa erariale e non di rito o procedurali, che determini con certezza l’inesistenza degli utili extracontabili e la conseguente illegittimità dell’avviso emesso nei confronti del socio.

Sempre la Cassazione, con la Sent. n.3854 dell’8 febbraio 2023 si è occupata degli accertamenti con adesione, stabilendo che gli stessi hanno efficacia limitatamente al contenuto ed ai periodi di imposta per i quali vengono sottoscritti, essendo considerati accordi di diritto pubblico, non soggetti alle norme del Cod.Civ. sulla transazione e non avendo la valenza di una sentenza con efficacia di giudicato esterno.

Nella fattispecie oggetto di causa, l’Agenzia delle Entrate, in sede di accertamento, riqualificava come conferimenti di azioni, gli atti di cessione da parte dei soci di quote del capitale della società, salvo poi, aderire ed inquadrare tali operazioni come cessioni, tassando così gli stessi per la plusvalenza realizzata come differenza tra il valore di cessione ed il valore fiscale della partecipazione.

Nonostante ciò, l’Agenzia delle Entrate, per i successivi periodi d’imposta emetteva altri avvisi di accertamento considerando le operazioni ancora come conferimenti e non più come cessioni, mentre il contribuente riteneva tale comportamento lesivo del principio di correttezza ed illegittimo per via della sottoscrizione dell’accertamento con adesione per l’annualità precedente.

La sentenza in oggetto, facendo seguito ad un orientamento consolidato della stessa Corte riconosceva, però, lecito tale operato per via del limite oggettivo di cui sopra; anche se occorre ricordare che, nella Sent.n.12372 dell’11 maggio 2021, era stata di diverso avviso, ritenendo lesivo del principio di collaborazione e buona fede, il comportamento dell’Ufficio che aveva emesso, in assenza di ulteriore motivazione, avvisi di accertamento per anni successivi sulla base della pretesa originaria, senza tener conto dell’adesione del contribuente per gli anni pregressi e del corretto adempimento da parte sua degli stessi.

Da ultimo la Cassazione con la Sentenza n.5586 del 23 febbraio 2023, sulla scia della Sentenza della Corte Costituzionale n.10 del 31 gennaio 2023, ha stabilito che anche a fronte di accertamenti analitici induttivi (o presuntivi), basati su indagini finanziarie da cui emergano maggiori ricavi per prelevamenti ingiustificati, è legittimo riconoscere al contribuente titolare di reddito d’impresa una quota di costi forfettaria.

In sostanza si ammette una doppia presunzione, ovvero che il contribuente abbia acquistato in nero per rivendere in nero, a differenza dell’orientamento precedente che prevedeva tale contrapposizione di ricavi e costi presuntivi solo per gli accertamenti di tipo induttivo puro.

Ciò a meno che non venga dimostrato con idonea motivazione che i costi non siano stati effettivamente sostenuti o che di tratti di vendite sottofatturate.

La differenza tra i due tipi di accertamento previsti dall’art.39 del DPR 600/73, sta nel fatto che per quello analitico induttivo (o presuntivo), la rettifica del reddito d’impresa deve basarsi su presunzioni qualificate, senza altre particolari condizioni; mentre quello induttivo puro può fondarsi su presunzioni non qualificate, purché si dimostri l’esistenza di fatti di particolare gravità (contabilità inattendibile, sottrazione di scritture contabili o dichiarazioni omesse).

La Sentenza della Corte ha, quindi, posto rimedio al difetto dell’orientamento precedente, in cui i costi forfetari venivano riconosciuti solo a favore dei contribuenti che ponevano in essere condotte più gravi o pericolose.

Alcune immagini usate in questo articolo sono state prese da www.create.vista.com

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