Due recenti Sentenze della Corte di Cassazione sono tornate ad occuparsi degli accertamenti immobiliari. Nel primo caso oggetto di analisi, l’Agenzia delle Entrate aveva provveduto a rettificare in aumento il valore dichiarato ai fini dell’imposta di registro, dell’imposta ipotecaria e dell’imposta catastale per una compravendita di un negozio, sia in funzione dei valori dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI), sia sulla base del valore dell’iscrizione ipotecaria concessa a favore della banca erogante il mutuo richiesto dall’acquirente.
Il contribuente, impugnando l’avviso di accertamento risultava vittorioso in Commissione Tributaria Regionale, ma l’Ufficio ricorreva in Cassazione per perorare le proprie ragioni. Con la Sentenza della Cassazione n. 4076 depositata il 18 febbraio 2020, la Corte ribadisce, innanzi tutto, che i valori OMI non sono sufficienti ed idonei per giustificare da soli il maggior valore venale dichiarato per le compravendite immobiliari ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale.
Essi, infatti, secondo costante giurisprudenza, rappresentano “indicazioni di valore di larga massima”; ma il valore effettivo del singolo immobile può dipendere da molteplici parametri, come ad esempio dalla superficie, dall’ubicazione, dallo stato delle opere di urbanizzazione o dalla collocazione nello strumento urbanistico.
La Corte conferma anche la possibilità di applicare all’imposta di registro, quanto previsto per le imposte sui redditi ex art.5, c.3, D.Lgs. 14/09/2015 n.147, ovvero che non esiste nessuna presunzione, tale per cui il valore normale degli immobili ed il corrispettivo di cessione degli stessi debbano coincidere.
In conseguenza di tale disposizione, l’accertamento dei maggiori redditi non può basarsi unicamente sui valori OMI e sul diverso valore da essi desumibile rispetto a quello dichiarato in atto dalle parti, ma dovrà esser suffragato da ulteriori elementi, come ad esempio la comparazione con altre compravendite anteriori di non oltre tre anni, che abbiano ad oggetto la stessa tipologia di immobili o con analoghe caratteristiche e condizioni.
Infine, sempre la Corte, ritiene un grave errore da parte dell’Amministrazione Finanziaria basarsi sul valore dell’iscrizione ipotecaria concessa alla banca mutuante sull’immobile, in quanto tale valore non costituisce un elemento grave, preciso e concordante dal quale desumere l’effettivo valore dell’immobile, ma serve principalmente a garantire la banca stessa oltre che per il valore del mutuo erogato, anche per le eventuali spese legali, giudiziali e gli interessi di mora, nel caso di inadempimento del contribuente mutuatario.
E’ di prassi, infatti, che la stessa venga concessa per un valore commisurato all’importo del mutuo erogato e non al valore effettivo dell’immobile, che viene determinato da un’apposita perizia solo per calcolare l’ammontare del credito che può essere garantito dal bene stesso.
La Corte si è poi trovata a dover decidere in merito a degli atti assoggettati ad IVA (alternativa all’imposta di registro), con cui una società aveva venduto appartamenti apparentemente simili, a prezzi però molto diversi e per i quali i mutui accesi dagli acquirenti risultavano superiori ai corrispettivi pattuiti per la vendita, così come in un caso anche l’assicurazione collegata.
Per tali fattispecie, non è più ammessa la presunzione di maggiori corrispettivi rispetto a quelli dichiarati in atto, in assenza di prove certe e precise e di conseguenza il relativo accertamento basato sul valore normale, a seguito dell’abrogazione ad opera della L. n. 88/2009.
Ma tale Legge non ha, però, abrogato espressamente anche l’ulteriore presunzione presente nel DL n.223/2006, che stabiliva, in caso di compravendite di immobili assoggettate ad IVA e finanziate mediante mutui o altri finanziamenti bancari, che il valore normale non poteva essere inferiore a quello del mutuo o finanziamento stesso e perciò l’Amministrazione Finanziaria ha continuato ad utilizzarla, insieme ad altri elementi probatori.
Con la Sentenza n. 7367 del 17 marzo 2020, la Cassazione ha confermato l’abrogazione ad opera della Legge n. 88/2009, ma anche quanto già affermato in precedenti pronunce (da ultimo la Sent. n.23379/2019), ovvero la possibilità di invertire l’onere della prova a carico del contribuente nei casi in cui erano state rilevate differenze tra il valore del mutuo ed il corrispettivo pattuito per la compravendita, purché le stesse fossero avvalorate da ulteriori elementi indiziari, gravi, precisi e concordanti.
E ciò, nonostante la difesa del contribuente avesse comunque fatto presente, che i mutui molto spesso siano erogati anche per coprire altre spese, oltre quelle relative all’acquisto dell’immobile, come ad esempio le spese notarili o per la ristrutturazione o l’arredamento degli stessi, a causa delle elevate differenze riscontrate e dell’assenza di documentazione a discarico da parte del ricorrente che rendevano, pertanto legittimo l’operato dell’Ufficio.
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