Dottrina e giurisprudenza hanno spesso evidenziato le criticità derivanti dall’applicazione della presunzione di distribuzione di utili extracontabili nel caso di società a ristretta base proprietaria, da qui contenzioso in materia di deducibilità dei costi e detrazione iva.
Presunzione che viene applicata dagli Uffici Finanziari nel caso di accertamenti nei confronti di società caratterizzate da un numero esiguo di soci, attribuendo agli stessi pro quota i maggiori utili riconducibili alla società, anche in assenza di una apposita delibera assembleare, salva l’eventuale prova contraria relativa all’accantonamento o al reinvestimento dei maggiori ricavi all’interno della società (così come da ultimo stabilito dalla Sentenza della Corte di Cassazione n 8915 del 14 maggio 2020).
Questo modus operandi da parte dell’Amministrazione Finanziaria è da considerarsi possibile solo nel caso che il maggior reddito imputato in capo alla società abbia generato effettivamente maggiori risorse finanziarie, tali da giustificare l’attribuzione degli utili extracontabili ai singoli soci: ovvero solo se vengano riscontrati ricavi “in nero” non dichiarati o costi solo fittiziamente sostenuti (oggettivamente inesistenti).
E’, pertanto, assolutamente da condannare il comportamento degli Uffici che utilizzano la stessa presunzione di cui sopra anche in caso di costi effettivamente sostenuti ma poi considerati indeducibili fiscalmente perché carenti di documentazione giustificativa o perché non inerenti (anche nell’ipotesi degli ammortamenti o accantonamenti o della valutazione delle rimanenze di magazzino o della competenza fiscale).
Ciò, perché considerare indeducibili costi oggettivamente sostenuti, non determina l’esistenza di una provvista di denaro da ripartire tra i soci, ma solo un minor carico fiscale per la società; con la conseguenza che le maggiori imposte che la società ha così “risparmiato”, si trasformano in denaro che resta al suo interno, salvo che il Fisco riesca a dimostrare la percezione di tali somme da parte dei soci, da qui contenzioso in materia di deducibilità dei costi e detrazione iva.
Recentemente anche la Commissione Tributaria del Veneto con la Sentenza n. 1099/5/19 depositata in data 13 novembre 2019, ha ribadito che il riconoscimento dell’indeducibilità fiscale di costi effettivamente sostenuti utilizzando risorse finanziarie, non crea automaticamente una provvista finanziaria ripartibile pro quota tra i soci, ma solo un maggior reddito fiscale in capo alla società, rendendo di fatto inutilizzabile la presunzione di attribuzione degli utili extrabilancio, a differenza dell’ipotesi in cui si riscontrino ricavi non dichiarati ed incassati in “nero”.
Per quanto riguarda la detraibilità dell’IVA, la recente Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 4 giugno 2020 relativa alla causa C-430/19, ha ribadito quanto già affermato da costante giurisprudenza, ovvero che per poter esercitare tale diritto, non sono necessari ulteriori documenti oltre alla fattura ricevuta e sarà onere dell’Amministrazione Finanziaria dei singoli paesi dimostrare attraverso elementi oggettivi e non semplici sospetti, l’asserita inesistenza dell’operazione al fine di negare la detrazione stessa.
Nel caso di specie, il Fisco rumeno aveva contestato l’inesistenza delle operazioni effettuate nei confronti di una società commerciale da parte di alcuni fornitori considerati troppo piccoli e pertanto non in grado concretamente di erogare i servizi oggetto di fatturazione.
Per la Corte, però, l’assunto da cui muoveva l’Amministrazione Finanziaria non era sufficiente per dimostrare l’esistenza della frode fiscale e negare di conseguenza la detrazione; così come non bastava a dimostrare la consapevolezza (o il fatto che avrebbe comunque dovuto essere a conoscenza) da parte del cessionario acquirente che l’operazione fosse parte di una frode fiscale.
In quest’ultima ipotesi, il soggetto passivo che avesse indizi o dubbi sulla regolarità dell’operazione, sarebbe sì in dovere di verificare l’affidabilità della controparte, senza che però sullo stesso venga a gravare un’attività di indagine eccessiva (di competenza degli Uffici), come il dover controllare il corretto adempimento da parte del cedente degli obblighi di versamento dell’IVA o della presentazione della relativa dichiarazione.
Per la Corte di Giustizia, inoltre, qualora come nel caso in esame, non vi siano ulteriori elementi oggettivi che possano far dubitare della falsità delle fatture, non può essere disconosciuta la detrazione sulla base dell’assenza di documenti supplementari a supporto. Infine, anche la Corte di Cassazione, da ultimo nella Sent. n.7647 del 2 aprile 2020, ha ribadito che spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare, in base ad elementi oggettivi, che l’operazione commerciale comprovata dalla fattura, in realtà non è mai stata eseguita per poter negare il diritto alla detrazione dell’imposta in essa contenuta.
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