La Corte di Cassazione con la Sentenza n.23190/2019 depositata il 27 maggio 2019, ha stabilito il principio di diritto per il quale l’eventuale decreto di sequestro emesso durante l’indagine preliminare e riguardante somme di denaro dell’indagato, può essere emesso solo se viene effettivamente accertato il cosiddetto “fumus commissi delicti”, ovvero quando sia altamente probabile che l’indagato sia effettivamente il responsabile del reato a lui contestato.
Nel caso in esame il procuratore della repubblica ricorreva contro il provvedimento del tribunale del riesame, ritenuto carente di motivazione, che aveva provveduto ad annullare il decreto di sequestro sui beni dell’indagato accusato del reato di riciclaggio ex art.648 c.p. per aver nascosto la provenienza di somme illecite derivanti da violazioni di norme tributarie.
La Corte di Cassazione nella sentenza in oggetto conferma che i giudici del riesame hanno correttamente giudicato in merito, verificando la situazione di fatto e le norme ad essa relative, senza, pertanto, incorrere nell’ipotesi di motivazione apparente o del tutto incongrua rispetto alle risultanze processuali. E proprio attraverso tale verifica, non si erano rinvenuti i presupposti legittimanti l’applicazione della misura cautelare del sequestro, ovvero il fumus commissi delicti, riconoscendo come fondate le prove difensive e la legittima provenienza delle somme oggetto di contestazione.
Sempre in merito al sequestro preventivo di somme di denaro depositate su conti correnti di una società e dell’amministratore della stessa, disposto per il reato di dichiarazione infedele ex art. 4 D.Lgs. n.74/2000 contestato a seguito di accertamenti bancari sui versamenti e sui prelevamenti effettuati sui conti stessi, si è espressa la Corte di Cassazione con la Sentenza n.31220 depositata il 16 luglio 2019, principalmente in merito alla legittimità ed alle modalità di applicazione delle presunzioni legali previste dalle norme tributarie.
Queste ultime, in effetti, pur non potendo da sole essere fonte di prova della commissione dei reati tributari previsti dal D.Lgs. n.74/2000, sono dotate di una valenza indiziaria sufficiente, consentendo di rinvenire il fumus commissi delicti tale che giustifichi, in assenza di controprova, l’applicazione della misura cautelare del sequestro (come già sancito dalla precedente Sent.Cass. n.26274/2018 sempre in tema di accertamenti bancari ex art.32 DPR n. 600/1973).
Proprio l’art.32 DPR n.600/1973 stabilisce che i dati e le informazioni acquisite in funzione di un accertamento bancario, possono essere utilizzati per le rettifiche e gli accertamenti del maggior reddito previsti dal medesimo decreto, qualora il contribuente non dimostri che ne ha tenuto conto nella determinazione del reddito assoggettato all’imposta o che siano ininfluenti per la determinazione dello stesso.
Ed inoltre, sempre allo stesso fine, i prelevamenti dagli stessi conti correnti per importi superiori a 1000 euro giornalieri o 5000 euro mensili, possono essere considerati come ricavi ai fini delle rettifiche e degli accertamenti se non risultanti dalle scritture contabili e se il contribuente non ne indichi il beneficiario effettivo.
Pertanto, per superare le presunzioni poste alla base dell’accertamento bancario emesso dall’Ufficio, è necessaria un’analitica giustificazione delle operazioni rilevate sui conti correnti fornita dallo stesso contribuente, il quale si vede così inciso da un’inversione dell’onere della prova per giustificare i versamenti ed i prelevamenti presenti sul conto, al fine di dimostrare che sono stati considerati nelle scritture contabili per la determinazione del reddito d’impresa o che sono estranei all’attività d’impresa e pertanto ininfluenti sul reddito della stessa.
Ai fini della prova in questione, infine, viene ribadito che non è sufficiente eccepire che i versamenti sul conto corrente siano inferiori alle entrate complessivamente registrate nelle scritture contabili, senza imputarli specificatamente o che i prelevamenti siano destinati a specifici destinatari ma senza evidenziarne anche la presenza nelle scritture contabili o l’eventuale estraneità all’attività d’impresa ed alla determinazione del reddito.
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