In caso di accesso nei locali adibiti promiscuamente ad abitazione e sede dell’attività imprenditoriale, se non vi è l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, tutta la documentazione acquisita non può essere utilizzata ai fini dell’emissione del successivo avviso di accertamento, ancorché spontaneamente consegnata dal contribuente.
Questo è quanto ha stabilito la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione nella Sentenza n.673/2019 depositata il 15 gennaio 2019. L’Agenzia delle Entrate aveva proposto il ricorso in Cassazione dopo che il contribuente era risultato vittorioso nei precedenti gradi di giudizio, proprio rimarcando la consegna spontanea da parte del contribuente, fatto che avrebbe sanato qualsiasi vizio di acquisizione della documentazione stessa.
Per la Corte di Cassazione, però, la mancata autorizzazione dell’Autorità giudiziaria per l’accesso domiciliare, comporta l’inutilizzabilità ai fini dell’accertamento di qualsiasi documento acquisito illegalmente, anche in assenza di una espressa norma sanzionatoria, essendo un presupposto essenziale del procedimento amministrativo; ed il giudice dovrà valutare solo le prove ritualmente acquisite, senza che queste ultime, se ottenute in violazione della legge, vadano a vantaggio della parte autrice di tale violazione.
Infine, viene ribadita l’inviolabilità del domicilio ai sensi dell’art.14 della Costituzione e che tale diritto non può essere derogato neanche nel caso di consegna spontanea da parte del contribuente.
Con la Sentenza n.1348/2019, la Corte di Cassazione ha stabilito che anche una denuncia anonima può essere utilizzata nell’ambito dell’accertamento fiscale, al fine di acquisire fatti conoscitivi, ribaltando la sentenza emessa dalla CTR del Piemonte che aveva annullato vari avvisi di accertamento per redditi di lavoro autonomo non dichiarati, motivando l’annullamento degli avvisi, sul fatto che gli accertamenti induttivi nei confronti del contribuente dovevano essere supportati da ulteriori elementi gravi, precisi e concordanti, in quanto fondati su indagini bancarie e sull’evasione degli obblighi tributari.
Ma per la Cassazione, nel caso in esame di omessa dichiarazione, l’Agenzia delle Entrate, può utilizzare qualunque elemento di prova, dato o notizia di cui sia venuta a conoscenza e comunque raccolta, per accertare il relativo reddito, anche con metodo induttivo e con presunzioni semplici o supersemplici, in deroga alla regola generale dell’art.38 del DPR n. 600/1973 e con inversione dell’onere della prova a carico del contribuente.
Un’altra importante Sentenza della Sezione Tributaria Corte di Cassazione è la n. 2386/2019 depositata il 29 gennaio 2019, con la quale ha accolto il ricorso del contribuente in quanto l’Amministrazione finanziaria aveva emesso alcuni avvisi di accertamento attraverso un’indagine bancaria che aveva interessato anche conti correnti intestati formalmente al solo coniuge che collaborava nella medesima attività imprenditoriale del contribuente stesso.
La sentenza motiva l’accoglimento del ricorso in quanto l’art.32 del DPR n.600/1973 (ai fini delle imposte dirette) e l’art.51 del DPR n.633/1972 (ai fini dell’IVA), consentono all’Ufficio di richiedere alle banche informazioni sui movimenti dei conti correnti del contribuente presumendo la loro riconducibilità ad operazioni imponibili se non dimostrato che sono stati conteggiati nella dichiarazione annuale o non soggetti a tassazione; ma ciò vale solo per quelli intestati o cointestati direttamente al contribuente e non quelli intestati esclusivamente ad altri soggetti, anche se ad esso collegati da vincoli di parentela o commerciali, se non viene comprovata l’intestazione fittizia e la conseguente attribuzione al contribuente accertato.
In materia di accertamenti standardizzati basati sull’applicazione degli studi di settore e dei parametri, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3762/2019 ha ribadito che le motivazioni addotte dal contribuente devono essere adeguatamente valutate in sede di contraddittorio preventivo, che rappresenta una fase essenziale del “giusto procedimento”.
In particolare, quando si tratta di accertamenti basati su elaborazioni statistiche, vanno considerate le approssimazioni di tali strumenti ed è necessario adattarli alla realtà reddituale del singolo contribuente. L’accertamento non può basarsi, pertanto, sulla presunzione semplice dello scostamento del reddito dichiarato rispetto a quello risultante dagli studi di settore o dai parametri; lo stesso necessita di una motivazione ulteriore, che giustifichi l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente e la mancata considerazione di quanto asserito in sede di contraddittorio preventivo da parte dello stesso e da cui derivi la gravità, la precisione e la concordanza delle presunzioni alla base dell’avviso.
E’ stato anche confermato che l’Ufficio non può integrare la motivazione del’avviso di accertamento in sede processuale, data la natura probatoria del processo tributario.
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