La recente Sentenza della Corte di Cassazione n.1035 depositata in data 16 gennaio 2023, ha riguardato il riporto delle perdite nel caso di un’operazione di fusione, in assenza del requisito di “vitalità” previsto dall’art.172, c.7, del TUIR, determinato in base all’ammontare dei ricavi e delle spese per lavoro dipendente ed all’entità del Patrimonio Netto contabile.
La Cassazione, che per la causa in oggetto ha confermato la decisione di secondo grado dando ragione all’Amministrazione Finanziaria, ha stabilito che la rigidità delle condizioni previste dall’art.172,c.7, del TUIR potrebbe comunque essere superata mediante la presentazione da parte dell’interessato di un interpello disapplicativo ex art. 11,c.2, L. n.212/2000 attraverso il quale giustificare in altro modo le proprie ragioni e l’esistenza del requisito di “vitalità” necessario per il riporto delle perdite.
Per la Corte, il parametro delle spese di lavoro subordinato, il cui importo nell’esercizio precedente a quello in cui la fusione viene deliberata deve risultare superiore al 40{c6f1e3cbbf388f39af87624e7ab33d42cc5a4ced45b8f171171c043a5d28b876} della media dell’ultimo biennio, va inteso in senso rigorosamente letterale, rifacendosi ai valori iscritti nelle voci di Conto Economico deputate ad accogliere tali spese, non condividendo la tesi difensiva della società, che aveva tentato di giustificare il mancato rispetto di tale condizione (solo in contenzioso e non presentando l’interpello disapplicativo), a causa della scelta di esternalizzare alcune funzioni, con conseguente aumento delle spese per prestazioni di servizi, in sostituzione di quelle per lavoro subordinato.
La decisione sembra, quindi, penalizzare quelle situazioni in cui tale parametro non viene soddisfatto per scelte gestionali e non per un effettivo depotenziamento, nonostante la prassi dell’Agenzia delle Entrate riconosca in alcuni casi la possibilità di dimostrare in altro modo la vitalità anche in assenza totale di dipendenti (ad esempio nelle varie risposte agli interpelli riguardanti le società veicolo delle operazioni di MLBO) e ciò anche in parziale contrasto con la Circolare n.9/2016 dell’Agenzia delle Entrate che, sebbene preveda l’obbligatorietà dell’interpello disapplicativo per il riporto delle perdite in assenza del requisito di vitalità, consente, comunque, la possibilità di richiedere la disapplicazione della norma anche in fase contenziosa, sanzionandone autonomamente l’omessa presentazione.
Relativamente poi al parametro del Patrimonio Netto, al 30/06/2010 esso risultava inferiore a quello al 31/12/2009 (nella fattispecie in esame il progetto di fusione era stato depositato presso la sede sociale il 30/07/2010 con l’obbligo di redigere la situazione patrimoniale infrannuale al 30/06/2010 ex art.2501-quater del Cod.Civ., non essendoci al tempo la possibilità di rinunciare alla stessa all’unanimità). Sempre l’art.172, c.7, TUIR, ai fini di tale verifica, dispone che non si deve tener conto dei conferimenti e dei versamenti ricevuti negli ultimi 24 mesi.
La società avendoli ricevuti nel mese di marzo 2008, riteneva di dover dapprima verificare quale fosse il minore tra i PN al 31/12/2009 ed al 30/06/2010 e di procedere successivamente all’eventuale decurtazione da esso dei versamenti ricevuti nei 24 mesi precedenti (e risultando minore quello al 30/06/2010 non vi sarebbe stata nessuna riduzione in quanto effettuati oltre 24 mesi prima).
La Corte, anche per evitare comportamenti discrezionali delle società, finalizzati ad aggirare la norma allungando i tempi di redazione della situazione infrannuale, ha stabilito, invece, di dover procedere dapprima alla riduzione dei PN (quindi solo quello al 31/12/2009 rientrante nei 24 mesi) e poi di procedere al confronto con quello della situazione al 30/06/2010, rilevando in tal caso che il minore risultava quello al 31/12/2009; pertanto, il riporto delle perdite sarebbe stato ammesso solo entro tale limite.
La successiva risposta all’interpello dell’Agenzia delle Entrate n.65 del 18 gennaio 2023 ha riguardato un caso di “fusione nazionale estera”, ovvero tra società di diritto estero che sia, però, suscettibile di determinare conseguenze fiscali su società italiane (stabili organizzazioni o controllate), stabilendo che l’operazione è da considerarsi neutrale agli effetti della tassazione italiana in quanto i beni ed i diritti della stabile organizzazione della società francese incorporata si trasferiscono nella contabilità della stabile organizzazione della società francese incorporante, in assenza di realizzo e restando, pertanto, le eventuali plusvalenze allo stato latente . Nello specifico, si trattava di una fusione tra una società francese che incorporava un’altra società francese dalla stessa controllata, entrambe con stabili organizzazioni in Italia.
Anche se tale operazione non può farsi rientrare tra le fusioni intracomunitarie disciplinate dagli artt.178 e 179 del TUIR, che prevedono la residenza in due diversi Stati membri dell’UE delle società partecipanti alla fusione, la neutralità ai fini fiscali è comunque garantita ex art.172 del TUIR, qualora l’operazione avvenga tra soggetti con forma giuridica analoga a quella prevista per le società di diritto italiane, sia qualificabile come fusione secondo la legge italiana e purché produca effetti in Italia relativamente alla posizione fiscale di almeno uno dei soggetti partecipanti.
La risposta all’interpello in esame ha riconosciuto esistenti tutte e tre le condizioni, così come già in precedenza la stessa Agenzia delle Entrate si era espressa per un analogo caso con la Risoluzione n.470/2008 e con la risposta all’interpello n.873/2021. Inoltre, l’Ufficio ritiene l’operazione neutrale anche ai fini IRAP, mentre per quanto riguarda l’IVA, al passaggio di beni tra le due stabili organizzazioni italiane in seguito alla fusione delle case madri francesi si applicherà l’art. 2, c.3, lett.f, del DPR n.633/1972, in quanto non si considerata una cessione di beni.
Infine, se ne ricorrono i presupposti, la società beneficiaria della fusione dovrà procedere alla rettifica della detrazione dell’IVA, ex art.19-bis2, c.7, del DPR 633/1972, facendo riferimento alla data di acquisto dei beni da parte del dante causa, sussistendo continuità tra le posizioni fiscali dei due soggetti.
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